Almanacco della Cucina Regionale Italiana, 1937

Gusto di Sapere, sesta puntata: E poi si arriva a Yalta

Ed eccoci al sesto di questa serie di articoli di Rossano Boscolo e Matteo Ghirighini da cui sono state tratte le sei puntate del programma televisivo di La7 Il Gusto di Sapere, girato qui al Garum, Il BiblioMuseo della Cucina. Torniamo un attimo al concetto del rapporto fra autarchia, cucina regionale e KM 0. Sebbene il primo vero ricettario regionale sia considerato il La Nuova Cucina delle specialità regionali di Vittorio Agnetti (1), è proprio il fascismo, sempre nell’ottica del raggiungimento dell’utopia autarchica e dell’auto-sostentamento delle singole regioni a promuovere fortemente l’idea della cucina regionale e locale. Dagli anni ’30 infatti proliferano manuali e libretti sulle varie cucine regionali, spesso stampati dagli enti del regime, e dello stesso periodo sono i primi concorsi di gastronomia locale. Ne è un bell’esempio il bel volume Panorama Gastronomico d’Italia (2), resoconto della prima “‘Settimana della Cucina’, probabilmente il primo concorso gastronomico d’Italia, tenutosi a Bologna fra il 19 e il 27 maggio 1935.

Ogni giornata iniziava con un discorso introduttivo di un relatore-cuoco che illustrava i pregi della specifica cucina regionale in concorso. Per nove giorni sette giurati assaggiarono a pranzo e cena i piatti tipici delle cucine siciliana, napoletana, veneziana, piemontese, romana, toscana, lombarda e genovese (ed emiliano-romagnola, fuori concorso per ovvie ragioni di opportunità di piazza!), votando poi la migliore.

Dalla presentazione del Podestà di Bologna: ‘Semplice bontà di cibi: Sanità di razza!’: ‘Dopo avere, per nove giorni e per diciotto pasti, coscienziosamente compiuto il loro dovere, i sette giurati sono usciti dalla graditissima, non lieve fatica, in ottime condizioni fisiche e morali: le varie cucine sapientemente predisposte da cuochi abilissimi, debbono essersi nello stomaco sì armonicamente composte, che nulla i giurati hanno avuto a soffrirne […] Oratori simpatici, spassosi, ed anche profondi: la storia, per tanti aspetti, gloriosa delle numerose e caratteristiche provincie italiche, ha avuto la sua parte nelle rievocazioni degli arguti conversatori: tradizione, costumi, leggende: in fondo, un senso di sanità bonaria, umana, agreste, ed, in tanta varietà, il miracolo unitario del popolo. Alcuno, di lontano, può aver sorriso di un concorso di tal fatta: eppure esso è stato utilissimo a riaffermare, ancora una volta, la superiorità delle varie cucine italiane, su quelle, purtroppo di moda in taluni ambienti nostrani, che hanno radici in terra di Francia o oltre Manica. Cucina, la nostra, semplice, onesta, squisita; cucina da popolo agreste, dai muscoli saldi e dallo stomaco sano; cucina che gli stranieri ci invidiano e che, purtroppo, molti fessi sospirosi di casa nostra (gli scemi del coktail e del wiscky, o quelli dall’r moscio e dallo stomacuzzo da zanzara) stupidamente dispregiano. Cucina anche, di popolo guerriero non uso agli intingoli complicati, ai pasti numerosi, ai cibi piccanti, ma a trarre dalla terra semplici e sani succhi che essa offre, premio squisito alla fatica del lavoro!’ (3).

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Fra i relatori, ovviamente, il regime assoldò i nomi più celebri della gastronomia italica, fra cui l’onnipresente Amedeo Pettini ed il colto e sagace Enrico Novelli, più noto con lo pseudonimo di Yambo. Per dovere di cronaca vinse il concorso la Cucina Siciliana proposta dallo chef Saverio Pupella.

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Quel che importa è che da un capo all’altro del Paese le trattorie, le osterie, i comuni e le massaie sono chiamate a promuovere tramite le ricette dei loro piatti la produzione agricola autoctona, difendendo la tavola dalle pericolosissime (e costosissime, laddove presenti sul mercato nero) contaminazioni straniere. L’Almanacco della Cucina Regionale porta in copertina un vero capolavoro di grafica pubblicitaria: la penisola con sovrimpresse le varie specialità locali (4).

La premessa è consacrata al folklore: “Non sorprenderà quindi se in questa Italia rinnovata dal Fascismo la cucina viene oggi considerata un’arte. Arte vera e bella che tende nella vita a dare sensazioni piacevoli; tali che dispongano l’anima al bene […] Il folklore del nostro popolo non consiste unicamente nelle manifestazioni della sua vita contadinesca, nelle originalità dei suoi prodotti artigiani, nel colore locale delle sue feste campestri. Bisogna saper osservare meglio e non è esagerato affermare che esso consiste soprattutto nella nostra cucina le cui mete particolari variano da regione a regione. Ed in questo appunto consiste la nostra ricchezza! La cucina italiana non è la medesima da un capo all’altro della penisola, ma varia da regione a regione; anzi, non di rado, da paese a paese”. Il tutto vi suona familiare, avete per caso un senso di già sentito o un deja-vu? L’indice è suddiviso per regioni e gli ingredienti sono selezionati con un rigido purismo: mentre Agnetti ad esempio ammetteva il cacio d’Olanda per il pesto, ora sono obbligatori parmigiano o pecorino. Dal ricettario vi proponiamo la ricetta dei Bigoli in salsa:
“Mettete sul fuoco entro una casseruola mezzo bicchiere di olio, una cucchiaiata di burro ed una cipolla finemente affettata. Quando quest’ultima comincerà a disfarsi ed a prendere colore unitevi cinque acciughe diliscate, pulite e tagliate a pezzettini. Bagnate con mezza tazza di acqua nella quale avrete stemperato un cucchiaio di salsa di pomodoro; condite abbondantemente con pepe e fate proseguire lentamente la cottura sino a quando l’intingoletto non apparirà sufficentemente ristretto. Fate cuocere in una pentola con abbondante acqua, al giusto salata, mezzo chilo di pasta scura (bigoli) e, cotta che sia al dente, scolatela e lasciatela sgocciolare. Conditela con il sugo sopra descritto, cospargete abbondantemente con formaggio grattugiato e servite”

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Altro esempio chiarissimo di espressione di questa volontà-necessità politica tutta autarchica è l’altrettanto graficamente curato La Cucina di Casa Nostra del solito noto Cesare Aldani (5): tricolore, frumento e pane in copertina e all’interno numerosissime ricette tipiche regionali…
Dall’opera vi proponiamo la ricetta dei Cappelletti all’uso romagnolo:
Ricotta romana gr. 500; carne di maiale magra gr. 300; 6 uova intiere, formaggio grattugiato, odore di noce moscata, sale quanto occorre e cedro tagliato a quadrettini con un po’ di uva sultanina ben mondata; fra l’uno e l’altra circa 150 grammi. Cuocere al burro la carne di maiale, tritarla finemente e unirla alla ricotta passata al setaccio, indi incorporare tutti gli altri ingredienti e formare i cappelletti con la solita pasta da tagliatelle. Cuocerli in acqua e sale scelto da cucina in sacchetti, condirli con una buona salsa di pomodoro al burro e lardo ben cotto e formaggio parmigiano
Questa politica – chiaramente fallita negli scopi autarchici del Fascismo – contribuisce però a creare l’idea dell’importanza della cucina italiana, autorizzando l’esistenza di un modello mediterraneo che collimava con le ambizioni territoriali del tempo e col progetto di costituire per l’Europa continentale e in particolar modo per la Germania, un giardino di primizie, un mercato di prodotti italici.

La principale conseguenza di tale strategia – con i dovuti distinguo del caso – porterà da una parte a quel concetto che sarà poi il Made in Italy e, dall’altra, alla scoperta dell’eccellenza del prodotto alimentare dei vari territori italiani attraverso la riscoperta e rivalutazione, in chiave non solo di sopravvivenza, della cucina popolare e povera, soprattutto quella tutta Mediterranea del Sud, con i suoi maccheroni, la pizza, la mozzarella e le varietà di frutta e verdura, il tutto condito con olio del territorio: la dieta mediterranea insomma, pur favorita dagli studi medicinali americani del dopoguerra, ha una premessa fondamentale, ovvia e chiarissima, nella politica autarchica dell’Italia fascista, nella restaurazione dell’idea di mare nostrum ed in quelle strategie economiche che miravano all’idealizzazione del locale, del povero, del popolare, del più intrinsecamente italiano. Autarchia anche nella lingua: il fascismo bandisce non solo ingredienti e ricette estere dai suoi ricettari ma epura anche i termini stranieri dai ricettari nostrani, per evitare ogni tentazione. Celebri sono i casi delle edizioni del Ciocca prima e durante l’autarchia e quelle delle “edizioni di guerra” del Talismano della Felicità di Ada Boni. In queste pubblicazioni infatti sparisce qualunque terminologia straniera.

Anche nel caso dell’autarchia linguistica, come per la pastasciutta, non possiamo non dedicare un pensiero ai futuristi. Chi altri potrebbe infatti permettermi di invitarvi al Quisibeve dove, preceduti dal Guidapalato, un solerte quanto talentuoso Mescitore ci sevirà un’Inventina o una Polibibita che ci preparerà lo stomaco per un Pranzoalsole. Non preoccupatevi, volevo soltanto offrirvi un cocktail al bar, aperitivo per un buon Pic-nic! Non mi sono inventato nulla, ho solo usato il Piccolo Dizionario della Cucina Futurista edito nel celeberrimo La cucina futurista (6), dove fra numerose immaginifiche ricette si propongono altrettanto immaginifiche sostituzioni di termini stranieri.

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E i protagonisti della Seconda Guerra mondiale? Poche sono le curiosità che legano Mussolini e la cucina: pare che il suo piatto preferito fosse una semplice insalata condita con aglio, olio e succo di limone, e a far scarpetta, ovviamente, un buon tozzo di pane integrale. Quanto realtà e quanto propaganda? Di Hitler sappiamo fosse notoriamente un vegetariano. Ciò che è meno noto è che la scelta alimentare operata dal fuhrer non fosse tanto attribuibile a motivi ideologici quanto invece motivata dalla sicurezza del dittatore che una dieta priva di carni avrebbe mitigato i suoi cronici problemi di costipazione e flatulenza. Una convinzione tanto radicata che, sul finire della II Guerra Mondiale, Hitler si sarebbe nutrito quasi esclusivamente di purè di patate e brodo vegetale. Il nazista, inoltre, aveva a disposizione un team di 15 assaggiatori per sincerarsi che il cibo ingerito non fosse avvelenato: a distanza di almeno 45 minuti dall’assaggio, e se nessuno dei 15 moriva, Hitler poteva consumare il pasto, anche se ormai freddo… Stalin era amante della cucina tradizionale georgiana, ed era goloso di aglio, noci, prugne, melograni e vino. Nota, infine, la predilezione tutta anglosassone di Winston Churchill per la zuppa di tartaruga.
Ma come terminò la guerra, gastronomicamente parlando? Bhè, numerosi storici e numerose testimonianze di chi partecipò alla conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945) fanno intendere che il gran consumo di Vodka – e la gran copia di bottiglie provenienti dalle sterminate vigne di Massandra, unite a quelle salvate dall’assedio di San Pietroburgo,provenienti direttamente dalla storica cantina degli Zar – aiutarono, e non poco, a trovare quegli accordi che riscrissero la geografia e le regole del mondo al termine della guerra. Probabilmente aiutò molto anche la soddisfazione gastronomica a giudicare, ad esempio, dal menù della cena tenutasi alla Vorontsov Villa la sera del 10 febbraio del 1945, cena a cui parteciparono, fra gli altri, Roosevelt, Churchill e Stalin:
Tortine di caviale
Salmone bianco e rosso
Shamaya
Aringhe salate
Storione in aspic
Formaggio svizzero
Salsicce
Cacciagione
Maialino da latte in salsa di rafano
Vol au Vent di cacciagione
Brodo di cacciagione
Crema di pollo
Pesce bianco con crema di Champagne
Cefalo al forno
Shashlik di montone
Carne di capretto selvaggio delle steppe
Montone al vapore
Tacchino arrosto
Quaglia arrosto
Pernice arrosto
Fagiolini verdi
Gelato
Frutta
Mandorle arrosto
Caffé
D’altronde la guerra è finita e si ragiona meglio a stomaco pieno!
Dal Menù di Yalta vi proponiamo i Vol-au-vent alla finanziera, nella ricetta originale di Escoffier:
“Préparer une garniture composée de: quenelles de volailles, tetes de champignons, lamelles de truffe, cretes et rognons de coq, ris d’agneau ou ris de veau. Le tout enrobé d’une onctueuse sauce demi-glace au Madère, bouillante. Compléter la sauce au dernier moment en lui incorporant quelques parcelles de beurre fin. Garnir une croute de Vol-au-Vent fraichement cuite. Dresser sur serviette. Facultativement, on pourra entourer le vol-au-vent d’écrevisses cuites dans un court-bouillon” (Auguste Escoffier, Ma Cuisine, 2.500 Recettes, Paris, Ernest Flammarion, [1934], p. 380).

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1) Vittorio Agnetti, La Nuova Cucina delle Specialità Regionali, Milano, Società Editoriale Milanese, [1912]. L’opera è la prima raccolta organica di ricette regionali italiane: se Agnetti infatti non è il primo a pubblicare ricette di piatti regionali, egli è tuttavia il primo in assoluto a progettare e compilare un insieme coerente e variegato che raccolga quanti più piatti tradizionali, divisi regione per regione che ha il merito di presentare per la prima volta le ricette in un contesto locale ben definito. Particolarmente interessante il fatto che le sue fonti sono raramente scritte e la quasi totalità delle preparazioni deriva dalle sue conoscenze e dagli incontri sul territorio. Aver rispettato questa tradizione orale, popolare fa de La Nuova Cucina delle specialità regionali un ricettario innovativo di spirito etnografico. La trascrizione delle ricette è semplice ed esemplare e vi si possono trovare le indicazioni sia per piatti di estrema facilità che per piatti di formidabile complessità; poveri piatti popolari e ricche pietanze borghesi, piatti di trattoria o preparati prossimi allo sbocco industriale quali il panettone, il torrone e il panforte.
2) AA.VV. Panorama gastronomico d’Italia, Bologna, Edito a cura del Municipio di Bologna, 1935
3) Ivi, p. VI
4) Ada Bonfiglio Krassich (a cura di), Almanacco della Cucina Regionale Italiana 1937, Milano, Sonzogno, 1936
5) Cesare Aldani, La Cucina di Casa Nostra, Roma, Edizioni Il Messaggero della Cucina, [1936]
6) Marinetti Filippo Tommaso – Fillia (pseud. di Luigi Colombo), La cucina futurista, Milano, Sonzogno, [1932]. Ecco il Dizionario nella sua interezza: “CASTAGNE CANDITE: sostituisce MARRONS GLACÉS.
CONPROFUMO: termine che indica l’affinità olfattiva di un dato profumo con il sapore di una data vivanda. Esempio: il conprofumo della poltiglia di patate e la rosa.
CONTATTILE: termine che indica l’affinità tattile di una data materia con il sapore di una data vivanda. Esempio: il contattile del pasticcio di banana e il velluto o la carne femminile.
CONRUMORE: termine che indica l’affinità rumoristica di un dato rumore con il sapore di una [p. 248 modifica]data vivanda. Esempio: il conrumore del riso al sugo d’arancio e il motore di motocicletta o il «Risveglio della Città» del rumorista futurista Luigi Russolo.
CONMUSICA: termine che indica l’affinità acustica di una data musica con il sapore di una data vivanda. Esempio: la conmusica del Carneplastico e il balletto «HOP-FROG» del maestro futurista Franco Casavola.
CONLUCE: termine che indica l’affinità ottica di una data luce con il sapore di una data vivanda. Esempio: la conluce del «Porcoeccitato» e un lampeggio rosso.
CONSUMATO: sostituisce CONSOMMÉ.
DECISONE: nome generico di polibibite calde-toniche che servono a prendere, dopo breve ma profonda meditazione, un’importante decisione.[p. 249 modifica]
DISPROFUMO: termine che indica il complementarismo di un dato profumo con il sapore di una data vivanda.
DISTATTILE: termine che indica il complementarismo di una data materia con il sapore di una data vivanda. Esempio: il distattile dell’«Equatore + Polo-Nord» e la spugna.
DISRUMORE: termine che indica il complementarismo di un dato rumore con il sapore di una data vivanda. Esempio: il disrumore del «Mare d’Italia» e il friggìo dell’olio, delle gassose e della schiuma marina.
DISMUSICA: termine che indica il complementarismo di una data musica con il sapore di una data vivanda. Esempio: la dismusica dei datteri alle acciughe e la Nona Sinfonia di Beethoven.
DISLUCE: termine che indica il complementarismo di una data luce con il sapore di una data [p. 250 modifica]vivanda. Esempio: la disluce di un gelato di cioccolata e una luce arancione caldissima.
FONDENTI: sostituisce FONDANTS.
FUMATOIO: sostituisce FUMOIR.
GUERRAINLETTO: polibibita fecondatrice.
GUIDAPALATO: sostituisce MAITRE D’HOTEL.
INVENTINA: nome generico di polibibite rinfrescanti e lievemente inebrianti che servono a trovare fulmineamente un’idea nuova.
LISTA o LISTAVIVANDE: supplisce MENU.
MESCITORE: sostituisce BARMAN.
MISCELA: sostituisce MÉLANGE.
PACEINLETTO: polibibita sonnifera.
PASTICCIO: sostituisce FLAN.
PERALZARSI: sostituisce DESSERT.
POLIBIBITA: sostituisce COCKTAIL.
POLTIGLIA: sostituisce PURÉE.
PRANZOALSOLE: sostituisce PICNIC.
PRESTOINLETTO: polibibita riscaldante invernale.
QUISIBEVE: sostituisce BAR.
SALA DA TÉ: sostituisce TEA-ROOM.
SGANASCIATORE: personaggio futurista che ha per compito di rallegrare i banchetti ufficiali.
TRAIDUE: sostituisce SANDWICH.
ZUPPA DI PESCE sostituisce BOUILLABAISSE”


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