Il Messisbugo e la prima ricetta col Basilico

Qualche giorno addietro abbiamo pubblicato un veloce post su Instagram nel quale vi abbiamo accennato che la prima ricetta a stampa contenente il basilico si trova nel Libro de’ Banchetti del Messisbugo. In tantissimi ci avete chiesto qualche informazione in più e sul libro e sulla ricetta. Ebbene, eccole qua!
Messisbugo Cristoforo (da)
Libro novo nel qual s’insegna à far d’ogni sorte di vivanda secondo la diversità de’ tempi, cosi di carne come di pesci e ‘l modo d’ordinar banchetti, apparecchiar tavole fornir palazzi, et ornar camere per ogni Prencipe
Venetia, al segno di San Girolamo. Al colophon: In Venetia, ad instantia di Giovanni dalla Chiesa Pavese, 1552.
Seconda e rarissima edizione – ancora più rara dell’originale, pubblicata nel 1549 – del celeberrimo trattato del provveditore della corte Estense, opera, come si legge al frontespizio, “assai bella, e molto bisognevole à Maestri di Casa, à Scalchi, à Credenzieri, & à Cuochi”.

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Nel 1552 il trattato fu proposto dal tipografo veneziano Giovanni Dalla Chiesa come Libro novo nel qual s’insegna à far ogni sorte di vivanda, titolo con il quale l’opera sarà destinata a lunga fortuna nel corso del Cinquecento. Come nel 1549, il testo è introdotto dall’epistola dedicatoria di Messisbugo al cardinale Ippolito d’Este. Di questa edizione sono attestati solo tre esemplari nelle biblioteche pubbliche italiane. “This is a famous 16th century work and of historical interest on the various foods and their preparation” (Bitting); C’est un document de premier ordre sur la cuisine en Italie pendant la Renaissance: tartes, pizzas, pâtes, tortelletti, macaronis à la napolitaine, à la romaine, lasagnes; raviolis de viande, de mortadelle, de poissons; tartes et pâtes, minestres diverses, plats de riz; tripes de veau, d’agneau ou de chevreau; soupes, recette de moutardes, de sauces froides et chaudes; viandes, charcuterie; fruits de mer; plats en gelées, etc.” (Oberlé).

Non si hanno molte notizie sulla vita di Christofaro di Messisbugo (la forma unita del cognome è usata solo nella riedizione del suo trattato del 1561). Il padre, Antonio, servì i duchi di Ferrara nel 1491 e 1493. Cristoforo nel 1519 era sottosospenditore ducale e seguì Alfonso I d’Este in importanti missioni politiche e diplomatiche. Con Ercole II d’Este divenne Provveditore e fu nominato conte palatino da Carlo V il 10 gennaio 1533. Le sue spoglie sono sepolte a Ferrara, nella chiesa di Sant’Antonio in Polesine. Il Messisbugo non fu cuoco e nemmeno un semplice scalco o lo è stato parzialmente e provvisoriamente. Egli sovrintendeva a tutta la macchina cortigiana e fu il primo ad accostare spettacolo e cucina, un vero regista del banchetto-show, nel quale erano presenti tutte le forme d’arte conosciute, anche di altissimo livello se si pensa che uno dei suoi banchetti venne aperto dalla “prima” della Cassaria dell’Ariosto!

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Nello specifico gastronomico i dati più rilevanti rispetto alla trattatistica precedente sono una più puntuale indicazione, nelle ricette, degli ingredienti e dei modi di esecuzione e un’aperta acquisizione dei modi cucinari e dei gusti di origine popolare o diversa da quella dell’élite del potere, come quella ebraica o quella medio-orientale. A queste cucine si devono infatti l’uso della cipolla in un raffinato pastello insieme alle spezie nobili come zenzero, pepe, noce moscata, zafferano e garofani, l’impiego delle melanzane, la ricetta della Torta Hebraica o del Farro alla Turchesca ed il largo uso di carciofi. Il fatto che il Messisbugo poi, nella conclusione del ragionamento che precede il ricettario, dica che non spenderà “Tempo o fatica in descrivere diverse minestre d’hortami, o legumi, e in insignare di frigere una Tencha, o cuocere un Luzzo su la gratella, o simili cose che da qualunque vile feminuccia si sapriano fare” scegliendo “le più notabili vivande, et più importanti” non significa che minestre, legumi, tinche e lucci non facciano parte anche della mensa del signore. Lo dimostrano i piatti compresi nelle varie portate dei banchetti e l’elenco delle derrate all’inizio del libro: non è la materia prima a fare nobile un cibo, ma l’Arte del cuoco! In questo senso egli può essere considerato non soltanto il fondatore di una nuova cucina “più” rinascimentale rispetto a quella del Platina – legata a modi e stilemi medioevali e tardo romani mutuati dal genio di Maestro Martino – ma anche e soprattutto va ricordato come iniziatore della cucina moderna italiana!

Una curiosità: è nell’opera del Messisbugo che troviamo la prima ricetta a stampa contenente il basilico! Difatti fra le varie erbe odorose che ritroviamo frequenti nei ricettari italiani del XIV, XV e XVI secolo il basilico non occupa assolutamente una posizione di rilievo, sembra anzi rivestire un ruolo del tutto marginale nelle ricette ed è presente solo in alcune preparazioni di sapori.
La prima testimonianza ci viene dal più antico testo di cucina italiana redatto in lingua latina (Bibliothèque Nationale de Paris, Ms.7131+9328) databile verso i primi anni del XIV secolo dove si parla di una salsa per arrosti composta da basilico e pepe pestati assieme nel mortaio con l’aggiunta di agresta o di succo di cetrangoli o lomìe (ricetta 65). La stessa preparazione sembra esser stata recepita da quell’anonimo meridionale autore in volgare del manoscritto conservato presso una biblioteca privata di Stoccolma dove al cap.52 tale salsa viene riproposta in termini del tutto simili. Nessuna traccia di basilico ci è dato rintracciare nei due testi di Maestro Martino e del Platina dove per contro ritroviamo citato il basilico per le sue proprietà medicamentose ma non ricordato per insaporire salse o sapori:
“Il basilico si semina di primavera mentre d’estate si mettono a dimora le pianticelle… Secondo il medico Crisippo [come riportato da Plinius, XX, 119] il basilico ha effetti dannosi, fa male allo stomaco, nuoce alla vista, provoca la pazzia, non giova al fegato […] se poi si copre con una pietra una certa quantità di basilico tritato, ne nascono scorpioni; se si mastica e si espone al sole, fa venire i vermi e alimenta i pidocchi. Gli Africani dicono persino che se qualcuno è morso da uno scorpione il giorno in cui abbia mangiato del basilico, non si sottrae alla morte in alcun modo. Si è tuttavia constatato che queste sono tutte fandonie, poichè le capre mangiano il basilico, il cervello di chi lo fiuta non va soggetto ad alterazioni e un po’ di basilico messo in vino o aceto è semmai un medicamento per le ferite provocate dagli scorpioni, sia di terra che di mare. Si è anche riscontrato che giova farlo fiutare in aceto a chi sviene. Asserisce Galeno [De alimentorum facultatibus I, 56] che lo scorpione gode moltissimo di starsene vicino allo stelo di questa pianta, della quale gradisce quanto mai l’odore. In ogni caso conviene usarlo con moderazione per via della forza eccessiva che proviene dal suo calore” [De honesta voluptate, lib.III, cap.76].

Nel XVI secolo il primo a proporre il basilico in una preparazione fu quindi proprio Cristoforo da Messisbugo nella sua Salsa Verde d’Agresto:
“Piglia prassomeli, finocchi freschi, basilico, mollena di pane mogliata in agresto, e pesta bene ogni cosa insieme; e poi distempera con agresto” (c. 87r), che in termini attuali possiamo tradurre: “Prendi del prezzemolo, finocchi freschi e della mollica di pane bagnata con succo d’uvaspina e pesta bene il tutto stemperandolo poi con succo d’uvaspina”. Ancora il Messisbugo lo inserisce anche nella sua salsa d’Agresto cotto e nell’Agliata sopra pesci, rane, lumache e altro simile. Il basilico verrà dimenticato poi dallo Scappi nella sua monumentale Opera (Venezia, Tramezzino, 1570) e riproposto dal Romoli, di nuovo da utilizzare per una salsa di tipo Agresto (Singolar dottrina dello Scalco, Venezia, Zanetti, 1598, Lib.V, cap.135) per poi diventare ingrediente di uso comune a partire dalla fine del Seicento!

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Bibliografia minima: Vicaire, 596-597; Westbury, 150; Bitting, 322; Oberlé, 61 (ed.orig.).


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