Paul Bocuse

Paul Bocuse, nelle sue parole…

Chi non conosce Paul Bocuse? Credo che, di nome, lo conosciamo un po’ tutti. Ma, al di là di essere uno dei nomi più rappresentativi di quella che viene chiamata la Nuova Cucina Francese e ad essere stato l’unico cuoco ad aver mantenuto le tre stelle Michelin per 50 anni, qual era la forma mentis del grandissimo cuoco? Quali i suoi insegnamenti?
Non c’è modo migliorare di approcciarsi a Bocuse che leggere la sua prefazione al celeberrimo La Cuisine du Marché del 1976, che vi riportiamo dalla prima edizione italiana (Rizzoli, 1976) tradotta da Elena Spagnol.

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Tutte le mattine – è una tradizione lionese alla quale mi sarebbe molto duro rinunciare – vado al mercato e mi aggiro a lungo fra i banchi. Facendo sempre la spesa di persona, so che un certo contadino ha dei cardi eccellenti, che un altro è lo specialista degli spinaci, che un terzo ha portato stamattina deliziosi formaggi di capra. A volte, non ho idea di quali piatti cucinerò per il pasto di mezzogiorno: decide il mercato. Ed è questo, penso, ciò che fa la buona cucina.
Nell’elaborazione dei nostri menu, tengo conto in egual misura della stagione. Quando è la stagione della lepre, cuciniamo la lepre; in primavera arriva l’agnello, poi le verdure novelle. Anche il calendario decide la composizione dei nostri menu.

Lo stesso dovrà fare il lettore: ricordi che tutte le ricette, semplici o complicate, raccolte in questo, riusciranno solo nella misura in cui chei le esegue saprà riconoscere e acquistare, sul mercato della sua città o del suo paese, i prodotti di qualità necessari per la preparazione dei relativi piatti. Per contro, oso affermare che se un piatto, anche il più prestigioso, non riuscirà perfetto, l’insuccesso non sarà però mai completo se la ricetta sarà stata eseguita con prodotti di prim’ordine. Sono verità lapalissiane, ma che tutti sembrano ignorare. In altre parole, per fare della buona cucina conta, sì, l’abilità ai fornelli; ma la scelta dei prodotti, il saper fare la spesa, mi sembra altrettanto importante.
Ma al mercato, oggi, che cosa troviamo? Sento ripetere da tutte le parti che non si trova più niente di buono. Lo stesso lamento ho letto in un libro di cucina del 1908; i Goncourt, nel 1860, dicevano che la carne aveva perso sapore e potrei facilmente risalire al secolo XVII e redigere su questo argomento un intero catalogo di lagnanze d’ordine culinario. A rischio di sorprendere i miei lettori, posso invece assicurare che, nel 1975, noi riusciamo a trovare prodotti assolutamente eccellenti, e di tutte le provenienze, grazie, fra l’altro, ai mezzi di trasporto moderni. Basta saper aspettare il momento giusto e sapersi guardare in giro. Il guaio è che i miei contemporanei sembrano perdere, poco a poco, il senso del succedersi delle stagioni; il senso del ritmo, dei cerimoniali che ogni stagione con le sue particolarità porta con sé. Si vogliono asparagi a Natale, fragole a Capodanno, selvaggina a Pasqua. Da quando abbiamo dimenticato che i pomodori più buoni si mangiano in agosto, le ciliegie migliori in giugno, e che un menu si fa avendo l’occhio al calendario?

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Dunque, aprire il mio libro e decidere di fare questo o quel piatto sarebbe una partenza sbagliata. Consiglierei piuttosto alla mia lettrice (o al mio lettore?) di andare, prima, a fare la spesa: veda che cosa offre oggi il mercato, e dopo cerchi nel libro una ricetta per preparare quel che ha trovato di buono. Se invece parte da casa con l’idea di acquistare, supponiamo, sogliole, e fedele alle sue intenzioni, pur avendo visto sui banchi del pescivendolo orate stupende o magnifici merlani, torna a casa con sogliole di qualità inferiore, allora andiamo male; non scommetterei un soldo sulla riuscita del suo piatto.
Mi si rimprovera spesso di non essere, su questo famoso mercato di Lione, tutti i giorni che dio manda in terra: mi si rimprovera di essere troppo sovente altrove, negli Stati Uniti, in Giappone… Faccio molti viaggi, è vero, ma sempre molto rapidi: tre giorni in un posto, quarantott’ore in un altro, raramente di più. Credo sia importantissimo andare altrove per vedere che cosa non funziona in casa propria. Più si viaggia, meglio ci si rende conto che gli altri non rimangono inattivi ma progrediscono; si può trarre profitto dalle loro esperienze, e per questo bisogna andarli a vedere. Dopo tutto, un cuoco non è uno che lavora in ritiro e solitudine. Oggi un cuoco deve muoversi; se vuol progredire, deve girare il mondo. Ogni volta che vado in un paese straniero, torno con idee nuove. a Hong-Kong, per esempio, mi sono accorto che sono molto bravi a cucinare gli ortaggi; il loro segreto sta nell’estrema rapidità della cottura. Di là, ho riportato una ricetta per i piselli mangiatutto; prima li facevo stufati, con lardo e cipolla, ma mi sono accorto che cuocendoli come fagiolini verdi, in acqua bollente salata, si ottiene qualcosa di meraviglioso. Se questo libro riflette il bisogno, diffuso fra i miei compatrioti, di tornare alle fonti della nostra tradizione culinaria, apre però anche prospettive su ciò che possiamo fare osservando ciò che si fa in casa dei nostri vicini o in paesi più lontani.

Giornalisti vengono a visitarmi, clienti m’interrogano; tutti fanno domande su quella che vien chiamata la Nuova Cucina. La Nuova Cucina è, in fondo, la vera cucina; ma come definirla più precisamente? Innanzitutto, l’ho già detto, la definisce l’attenzione alla qualità degli ingredienti. In questo campo non si può barare, bisogna invece cercare sempre quel che c’è di meglio in fatto di carni, ortaggi e così via. Si tratti di una piccola trattoria o di un ristorante di gran classe, si tratti di acquistare acciughe o salmone, bisogna sempre cercare le acciughe migliori o i migliori salmoni. Questa regola dev’essere rispettata anche dalle padrone di casa.
Un altro importante principio della Nuova Cucina: bisogna rispettare il sapore originario dei cibi e metterlo in valore. Nella vecchia cucina ci si preoccupavapiù di accontentare l’occhio che il palato; nella Nuova Cucina invece tutto ha una ragion d’essere. Prendiamo per esempio una delle ‘specialità Bocuse’, il branzino in crosta farcito con mousse d’aragosta. Il pesce è chiuso nella sua crosta, ma la crosta si può non mangiare: ha la funzione di conservare al branzino il suo fumet.
E non si è obbligati a mangiare neanche la farcia: la sua funzione è quella di mantenere una certa umidità, perchè da sé il branzino tende ad asciugare troppo. I seguaci della Nuova Cucina obbediscono ad altre regole alle quali ho già accennato: non decidere il menu in anticipo, ma prima andare a far spesa e poi stabilire il menu in base a quello che si è trovato. Questo comporta automaticamente la necessità di semplificare, di alleggerire. Non c’è più bisogno di tutti quei fondi di cucina per far salse, di marinate, di stagionature.

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Fernand Point, che rimane il mio maestro, ha soppresso fin da prima della guerra tutte le salse, i piatti complicati e troppo ricchi, le guarnizioni che erano legge nella cucina dell’Ottocento. Questa maggior semplicità nella preparazione dei piatti si ripercuote sui tempi di cottura. I pesci, per strano che sembri, si devono servire rosati lungo la lisca centrale: tutti li cuociono sempre troppo. I fagiolini verdi devono essere croccanti, la pasta ben salda sotto il dente. Non ho dimenticato un’altra massima di Fernand Point: si cucina bene, diceva, soltanto con l’amore, soltanto quando si mira soprattutto ad instaurare, intorno a una tavola, amicizia e fraternità fra gli uomini.
Questo mi sembra essenziale: così la donna di casa come il grande cuoco devono preparare soltanto i piatti che amano preparare. Quando una donna di casa cucina un pollo arrosto, deve essere veramente convinta di star facendo una cosa buona, e deve farla con amore. Penso che la cucina sia più facile e riesca migliore quando si fa per persone che si amano. Altro punto sul quale vorrei insistere: nel cucinare, bisogna sempre lasciare una piccola parte all’improvvisazione. Un grande direttore d’orchestra diceva che, al momento di eseguire in pubblico un’opera lungamente studiata e ripetutamente provata, lasciava un margine all’immaginazione e all’improvvisazione. Nello stesso modo, la donna di casa si persuada che non è obbligatorio seguire una ricetta alla lettera e che all’ultimo momento può sempre sostituire un ingrediente a un altro di cui è sprovvista. Per esempio, se ha deciso di preparare un coq au vin ma non ha sottomano pancetta né cipolline, non se ne faccia un problema. Se pollo e vino sono buoni, se tutto è salato e pepato nella giusta misura, potrà fare a meno della pancetta e sostituire le cipolle con porri.

Soprattutto, non deve sentirsi schiava del libro, ma prendere delle iniziative e, al caso, correre dei rischi. Insomma è consentito un margine di libertà, si può lasciar giocare la fantasia, a patto naturalmente di restare in tono e di rispettare le misure…


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